Introduzione
Nella storia dell’arte, sono molti gli artisti ad aver dichiarato “la morte della pittura”, ovvero ad aver denunciato con forza l’esaurirsi del linguaggio pittorico che, nel peculiare momento storico in cui vivevano, appariva loro sterile e privo di possibilità di rinnovamento. Ma perché la pittura è periodicamente data per morta? A cominciare dal 1839, quando l’invenzione della fotografia fornisce uno strumento straordinario per rappresentare il reale meglio del più abile dei pittori, la pittura -e dunque il suo codice linguistico- è costantemente messa in discussione fino a quando, nel 1917, perde definitivamente la sua aura sacrale per opera di Marcel Duchamp che, con l’introduzione del “ready-made”, sposta la discussione dal piano della rappresentazione pittorica dell’oggetto a quello della sua apparizione diretta sulla scena, anticipando e legittimando molte operazioni di matrice concettuale sviluppatesi poi negli anni Sessanta.
Sulla pittura si raccontano tante storie…c’è chi sostiene che, nel panorama artistico contemporaneo, le nuove tecnologie abbiano condotto l’arte così lontano dal linguaggio pittorico al punto da non aver più nulla da dire, ma è possibile immaginare che gli artisti cessino di servirsi di un medium così affascinante e complesso come la pittura?
A tal proposito, c’è un’altra storia da raccontare, quella dei numerosi artisti che nel corso del Novecento, dopo aver avvertito questa crisi linguistica, hanno deciso di rispondere a questa sfida, avventurandosi in coraggiosi tentativi di rinnovamento del linguaggio pittorico. Spesso questi tentativi sono nati dalla volontà di sovvertire le regole linguistiche vigenti, come fece Jackson Pollock quando, nel 1947, grazie all’intuizione di porre la tela sul pavimento, abbandona la pittura da cavalletto e si serve del “dripping” -lo sgocciolamento del colore direttamente sulla tela- per stravolgere tutte le regole spaziali alla quale era ancora legata la pittura. Altre volte, si sono manifestati con azioni più radicali come operazioni di azzeramento del linguaggio volte a postulare una sorta di grado zero della pittura da cui ripartire. E’ il caso, per esempio, di Kazimir Malevich che, nel 1915, dipinge un quadrato nero per teorizzare “lo zero della forma”, segnando la frattura senza ritorno tra linguaggio figurativo e linguaggio astratto, oppure di Frank Stella che, negli anni Trenta, nel tentativo di oggettivare la pittura, mette a nudo le sue componenti primarie: la tela e il colore. E ancora, negli anni Cinquanta, di Piero Manzoni e i suoi “Achromes”, superfici bianche e dunque prive di cromia con le quali l’artista teorizza uno “spazio totale” aperto a infinite possibilità significanti. Di esempi se ne potrebbero fare molti tuttavia, se oggi si continua a dipingere è proprio grazie a quegli artisti che, in diversi momenti storici, hanno avuto il coraggio di compiere una riflessione profonda sulla pittura, abbandonando tutte le certezze che avevano. Spesso, anche se distanti nel tempo, questi tentativi di rinnovamento linguistico producono risultati simili perché prendono le mosse dall’analisi degli elementi costitutivi del linguaggio pittorico: la tela in quanto supporto fisico, il colore come materia pittorica da plasmare, ed il processo ovvero la tecnica da utilizzare.
LA FISICITA’ DEL COLORE
PINELLI, ZAPPETTINI, MARCHEGIANI, GRIFFA, OLIVIERI, MARIANI, HALLEY, BERLINGERI
LA TRASFIGURAZIONE DEL COLORE IN ENTITA’ FISICA TANGIBILE
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, in risposta all’onda dell’Arte Concettuale che alla pittura preferiva altre operazioni linguistiche più sintetiche e minimali, molti artisti europei sentono la necessità di tornare a “fare pittura”, con l’obiettivo di dimostrare che la pittura non solo è ancora viva ma anche necessaria ed inesauribile. Questi artisti, lavorando singolarmente o in gruppi di lavoro -come nel caso delle esperienze poi raggruppate sotto le denominazioni di Pittura Analitica, Pittura e Pittura, Nuova Pittura, Supports/Surfaces, Groupe ’70-, oltre ad aver segnato un importante momento storico, hanno condotto una profonda indagine linguistica atta a ri-fondare la pittura proprio partendo dall’analisi dei suoi elementi costitutivi, producendo anche un cospicuo corpus di scritti teorici. I risultati di questa sorta di analisi grammaticale della pittura, atta a scandagliare il codice linguistico fino a ridurlo alle sue componenti primarie per sperimentarne le infinite possibilità di combinazione e ricombinazione, finiscono per riportare al centro le componenti linguistiche del discorso. Il discorso sulla pittura.
La fisicità del colore. La trasfigurazione del colore in entità fisica tangibile, vuole porre l’accento su quegli artisti che, pur lavorando con tecniche e materiali differenti, hanno condotto una ricerca atta ad elevare il colore a soggetto, elemento principale ed autosignificante. In queste ricerche il colore prende forma e diventa derma, corpo fisico, oggetto tangibile allo sguardo come al tatto, nel tentativo di far cogliere al fruitore tutto il suo peso, la sua granulosità oppure la sua leggerezza ed impalpabilità. Artisti che hanno dimostrato di saper guardare oltre, oltre al colore come elemento riempitivo della forma o come semplice pigmento steso su una superficie piana, oltre alla tela nella sua mera funzione di supporto, oltre anche alla tecnica e ai materiali tradizionali. Ecco dunque che il colore si svincola anche dal supporto uscendo dal suo spazio di delimitazione, il quadro, per distribuirsi liberamente nello spazio. Il supporto perde il suo ruolo di sfondo-cornice ed emerge in primo piano, mostrando tutte le sue qualità fisiche. Ed il processo si esplicita, acquisendo una centralità nuova. Ogni componente, prima subordinata alle altre, diventa elemento autonomo e significante. Oltre la pittura c’è solo la materia che si mostra nella sua cruda nudità o si presenta sublimata, purificata al limite del percepibile. Oltre al bianco, il rosso, il blu, c’è un universo di sensazioni tattili evocate dal colore che si fa corpo, si trasfigura in un’entità fisica tangibile materializzandosi attraverso supporti differenti.
La mostra raccoglie e pone a confronto un nucleo di opere che, se pur molto differenti tra loro, sono il risultato di una stessa indagine. Pur mantenendo il proprio linguaggio peculiare, gli artisti selezionati affrontano tutti la stessa problematica: “oggettivare la pittura”, ovvero analizzarla rendendo autonome le sue componenti. La riflessione compiuta da questi artisti, inizialmente autoreferenziale, ha poi condotto ciascuno di loro a generare nuovi linguaggi pittorici, a loro volta produttori di nuovi universi linguistici del visibile.
La fisicità del colore. La trasfigurazione del colore in entità fisica tangibile vuole offrire una chiave di lettura trasversale, accompagnando il fruitore in un percorso di analogie puramente formali, risultanti, come la percezione che accomuna i densi coaguli tattili di Pino Pinelli ai pesanti panneggi di Umberto Mariani, o il gioco materico che lega l’emergere di trame e textures nelle tele di Gianfranco Zappettini alle superfici increspate di Peter Halley. E ancora il rigore analitico e la leggerezza che permea le opere di Elio Marchegiani e Giorgio Griffa, fino alla pittura impalpabile di Claudio Olivieri.
Beatrice Audrito
LA FISICITA’ DEL COLORE
La trasfigurazione del colore in entità fisica tangibile
P. Pinelli, G. Zappettini, E. Marchegiani, G. Griffa,
C. Olivieri, U. Mariani, P. Halley, C. Berlingeri
a cura di Beatrice Audrito
27 Maggio – 30 Giugno 2017
Galleria Spirale Milano
Forte dei Marmi, Via Carducci, 45